Responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza

lavoratore in materia di sicurezza
Condizione necessaria e sufficiente per la configurabilità di responsabilità in capo al lavoratore inadempiente agli obblighi di sicurezza è che il datore di lavoro abbia, a sua volta, adempiuto agli obblighi, soggettivi e oggettivi, posti dalla legge a suo carico, in particolare, degli obblighi di prevenzione tecnica e organizzativa, di informazione e formazione e, infine, di vigilanza e controllo.
Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

2. I lavoratori devono in particolare:
a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza;
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.

E dunque “secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale”, il datore di lavoro è “sempre considerato responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non avendo alcun effetto esimente, per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, l’eventuale concorso di colpa del lavoratore”. In poche parole l’inosservanza delle norme prevenzionali  - da parte di datore di lavoro, dirigente e preposto- ha “valore assorbente rispetto al comportamento del lavoratore, la cui condotta, pertanto, può assumere rilevanza, solo dopo che da parte dei soggetti obbligati, siano state adempiute le prescrizioni di loro competenza”.
E dunque  non potrà essere ascrivibile alcuna responsabilità al lavoratore “dal momento che tale evento lesivo è da ricondurre proprio alle omissioni e/o alle mancate o insufficienti misure e cautele approntate dal datore di lavoro e dai suoi collaboratori”, e “nessuna rilevanza, in tali condizioni, assume il comportamento del lavoratore che, per quanto negligente o persino assurdo, non risulti imprevedibile, ad es., perché già ripetutamente tollerato in precedenza” ( Cass. pen., sez. IV , 31 maggio 2012, n. 21205).

Sono segnalate, tuttavia, alcune pronunce che, riguardo alla responsabilità civile, “hanno evidenziato, pur in caso di inadempimento all’obbligo di sicurezza da parte dello stesso datore di lavoro, l’importanza di un’indagine preventiva sul nesso di causalità in presenza di un concorso di cause colpose o di cooperazione colposa del lavoratore, giungendo, in tali casi, a ridurre proporzionalmente, ma non a escludere, la misura della responsabilità datoriale”.

In ogni caso i risultati raggiunti dalla giurisprudenza - ai fini della individuazione della responsabilità  e della colpa del datore di lavoro - attribuiscono in sostanza “rilevanza decisiva all’elemento della prevedibilità e della evitabilità dell’evento dannoso verificatosi, con l’ordinaria diligenza professionale, richiesta al datore di lavoro ai sensi del d.lgs. n. 81/2008 (Cass. civ., sez. lav., 11 aprile 2013, n. 8861).

Veniamo ora alla situazione di responsabilità concorrente del lavoratore.

Se dunque “i principali soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza abbiano adempiuto ai propri doveri/obblighi di informazioni, formazione, preparazione e cooperazione, può assumere rilevanza, nella imputazione e ripartizione delle responsabilità, il comportamento inadempiente agli obblighi di sicurezza del lavoratore, che se pur non esonera il datore di lavoro da responsabilità, ben può cooperare colposamente a causare l’evento dannoso”. Infatti la prestazione resa dal lavoratore senza l’osservanza delle prescrizioni per la tutela e la salute della sicurezza del lavoro “pone, infatti, in essere una condotta inadempiente che pur non essendo sufficiente a far venir meno la responsabilità del datore, concorre con essa. Si determina, in tal caso, un concorso di cause colpose”. E la condotta colposa del lavoratore “dovrà essere valutata in relazione alla violazione e alle mancanze del datore di lavoro e degli altri soggetti obbligati”.

Se, come abbiamo visto in precedenza, il lavoratore ha “diritto di aspettarsi che il datore di lavoro lo metta nelle condizioni migliori per lavorare, il datore di lavoro ha, da parte sua, il corrispondente diritto di attendersi, una volta compiuto quanto gli spetta, che il lavoratore faccia quel che deve; ha, insomma diritto di fare affidamento sull’esatto adempimento da parte del lavoratore del proprio dovere”.

Ricordiamo che il datore di lavoro è chiamato a “vigilare e controllare il lavoratore nell’espletamento della sua prestazione. Egli dovrà verificare, in particolare, che i lavoratori rispettino la normativa e le disposizioni impartite, utilizzino i mezzi e i dispositivi di protezione ricevuti in dotazione e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di compiere atti o manovre rischiose, ovvero instaurino prassi di lavoro non corrette, potendo il medesimo datore, non essere chiamato a rispondere, ancorché in concorso con il lavoratore, solo ove dimostri di aver vigilato attivamente sul suo operato, ovvero rimanendone corresponsabile, ove il lavoratore, intenzionalmente, sia venuto meno al suo obbligo formativo”.

Ma fino a che punto deve spingersi l’attività di controllo e di vigilanza del datore di lavoro?
Una recente sentenza ( Cass. civ., sez. lav., 22 novembre 2012, n. 20597) ha affermato “che l’obbligo di vigilanza non implica un controllo costante su ogni lavoratore né il dovere di assicurare la presenza del preposto dietro ogni lavoratore o di organizzare il lavoro in modo da moltiplicare verticalmente i controlli fra dipendenti, richiedendosi, solo, una diligenza rapportata al concreto lavoro da svolgere e, cioè, alla ubicazione del medesimo, all’esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione”. Condivisibile è il ragionamento di chi ha sostenuto “che l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro debba essere interpretato tenendo conto del livello di competenza acquisita dal lavoratore anche grazie alla formazione ricevuta”.

Se in definitiva “con la sua condotta avventata, disattenta ovvero negligente, imprudente o imperita, il lavoratore adeguatamente informato e formato abbia determinato o contribuito a causare l’evento dannoso, ne risponderà in termini di concorso di colpa e il datore di lavoro che resta il principale soggetto obbligato (sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e non vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente), vedrà una proporzionale riduzione delle sue responsabilità”.

Rimandando ad un lettura integrale del breve saggio, ricco di riferimenti a sentenze e pronunce in materia di responsabilità, concludiamo con alcuni cenni al caso della responsabilità esclusiva del lavoratore.

Secondo l’orientamento della giurisprudenza, è ravvisabile una responsabilità esclusiva del lavoratore, “in caso di dolo – che in questa materia si identifica con l’autolesionismo – o di c.d. rischio elettivo, da lui posti in essere” (un rischio ravvisabile ad esempio quando l’attività svolta non sia relazionabile con la prestazione lavorativa o si spinga ben oltre i limiti della stessa).
E anche lo svolgimento di attività potenzialmente rischiose “può determinare una sua condotta gravemente colposa che, se ha avuto efficacia determinante, nella causazione dell’evento, determina il sorgere di responsabilità esclusiva a suo carico”: “il lavoratore deve rispettare l’obbligo di adottare le modalità che si appalesino, in concreto, le meno pericolose, ovvero deve astenersi dallo svolgimento delle stesse”.
Ed è ravvisabile una sua responsabilità esclusiva “quando il suo comportamento, per il carattere anomalo o esorbitante, rispetto alle sue mansioni o alle procedure aziendali e/o alle direttive organizzative ricevute, risulti del tutto imprevedibile e, come tale, inevitabile, nonostante la corretta e puntuale attuazione in azienda del sistema prevenzionale voluto dalla legge”.

Per assumere i connotati di unica causa efficiente dell’evento il lavoratore deve mettere in atto un comportamento abnorme e, dunque, fuori da qualsiasi controllo da parte delle persone preposte: “deve essere stato posto in essere, ad es., del tutto autonomamente e al di fuori delle mansioni attribuitegli (e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro), ovvero deve essere consistito in qualcosa di assolutamente imprevedibile da parte del datore di lavoro, ovvero pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte che il lavoratore potrebbe compiere nella esecuzione del lavoro, ovvero, infine, deve essere stato realizzato dal lavoratore con dolo, cioè con la consapevolezza di violare le cautele impostegli”.

In definitiva  è necessario, dunque, “che il lavoratore abbia posto nel nulla situazioni di pericolo create dal datore di lavoro o eliminandole o modificandole in modo tale da non poter essere più a quest’ultimo attribuite: in tal caso, pur essendo la condotta del datore di lavoro (o degli altri suoi collaboratori responsabilizzati dalla normativa) colposa e, persino, di per sé idonea a causare l’evento dannoso, essendo intervenuto, successivamente, un comportamento del lavoratore assolutamente eccezionale, esorbitante e imprevedibile, quella condotta datoriale non assume efficienza causale rispetto all’evento, restandone il lavoratore l’unico responsabile”.

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